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Storia del campo di Zonderwater

Zonderwater, ovvero: dove metterli?

Probabilmente uno dei fronti più trascurati da Hitler e Mussolini nella Seconda Guerra Mondiale è quello del Nordafrica. Il conflitto iniziò con alcune schermaglie di frontiera nel giugno del 1940 e terminò nel maggio 1943 con la resa delle truppe dell'Asse in Tunisia. Il teatro del conflitto non fu certamente di secondaria importanza sia per il numero di soldati che vi ebbero a combattere, sia per il susseguirsi incalzante delle vicende, sia per le conseguenze che tali vicende provocarono sullo scenario europeo, infine perchè in questi aridi deserti vennero combattute le prime battaglie veramente cruente. Rommel fu richiamato in patria da Hitler mentre cercava di sfondare ad El Alamein e raggiungere Suez per arrivare ai pozzi di petrolio del Medio Oriente; chi lo sostituì temporaneamente compromise con decisioni sbagliate l'offensiva italo tedesca, e a Rommel rientrato precipitosamente in ottobre , non rimase altro che ordinare la ritirata delle truppe tedesche. Agli Italiani fu lasciato l’ingrato compito di proteggere la fuga dell’alleato. A maggio del 1943 finiva il sogno della "quarta sponda".

Già dopo la battaglia di Sidi El Barrani (dicembre 1940), nell'ambito della Operazione Compass, le truppe inglesi si trovarono a dovere gestire logisticamente in un ambiente ostile, migliaia di prigionieri che le regole della prudenza e del buon senso prima che quelle della strategia militare, imponevano di allontanare da quegli scenari troppo vicini alle zone di combattimento in una situazione ancora molto fluida e senza che fosse possibile intravvedere un vincitore.

La soluzione, quasi obbligata, fu offerta dalla cobelligeranza col Commonwealth del Sud Africa, il cui Governo di Jan Smuts aveva di misura respinto la posizione di neutralità ed  anche una alleanza con Regno d'Italia e Terzo Reich. Fu così che molti italiani prigionieri in Egitto vennero imbarcati a Suez sulle stesse navi che in direzione opposta avevano portato truppe sul fronte mediterraneo, per essere sbarcati a Durban e condotti in una miriade di campi di prigionia in quello che era ed è il più esteso Stato dell'Africa australe. La minoranza bianca lì al potere in parte di origine britannica assicurava fedeltà alla Corona e la vastità del territorio, buona custodia. 

Il più grande di questi campi (ed il più grande in assoluto per prigionieri italiani nell'ultimo conflitto) fu Zonderwater, che in lingua boera significa "senza acqua".  Non è facile trovarlo sulle carte geografiche della Regione del Gauteng, fino al 1994 Transvaal, capitale Johannesburg. Qui, in una landa desolata e arida a forma di anfiteatro vicino alla miniera di Cullinan (dove nel 1905 venne trovato il più grande diamante grezzo del mondo, del peso di 3.106,75 carati),  vennero convogliati anche dai fronti  dell'Etiopia e dell'Eritrea fin dalla primavera 1941, i primi diecimila prigionieri.

Tende del primo periodo 1941 - 1942 In quel tempo le baracche non erano ancora state costruite,  i soldati  dovevano dormire all'addiaccio nelle tende e subire un trattamento molto rude da parte delle guardie; l’approvvigionamento alimentare si rivelava del tutto insufficiente. Lo testimoniano le relazioni super partes della Croce Rossa internazionale; lo confermano i diari e le lettere sfuggite alla censura dei prigionieri, il cui numero aumentava vertiginosamente.

 Alla fine dell’anno seguente venne chiamato a dirigere il campo il colonnello Hendrik Frederik Prinsloo (vedi foto a destra) Hendrik Frederik Prinslooche, confinato bambino in campo di concentramento dagli Inglesi nella guerra che li aveva visti opposti ai Boeri, conosceva in prima persona la durezza della segregazione. Egli  seppe quindi dare prova di  concretezza e umanità, facendo costruire dai prigionieri stessi, una piccola città di 14 Blocchi, ognuno con 4 Campi di 2000 uomini, a loro volta con  24 baracche dal tetto in lamiera. Un agglomerato  destinato ad accogliere oltre 100.000 soldati, con 30 km di strade, mense,  teatri, scuole, palestre, ove gli internati potessero trovare interessi ed evitare  inedia e disperazione; nonché ospedali con complessivi 3000 posti letto (vedi foto in basso a sinistra) e chiese dove i cappellani militari cercavano di imporre quel minimo di disciplina che gli altri ufficiali, inviati in India in spregio alla Convenzione di Ginevra, non potevano più garantire.

Nuovo ospedale a Zonderwater

All’interno del Blocco recintato da filo spinato e sorvegliato da sentinelle armate dall’alto di torrette, i p.o.w. (prisoners of war) potevano  circolare libe­ramente, ma si trattava sempre di prigionia, dopo mesi o anni di combattimenti e di privazioni, di umiliazione per la sconfitta, di sconforto, nell’incertezza sulla data del ritorno che metteva a dura prova la psiche di ognuno. Alcuni di loro letteralmente impazzivano e venivano ricoverati in uno speciale reparto dell’ospedale. Chi tentava la fuga verso il Mozambico, ove era aperto un Consolato italiano, e veniva ripreso, scontava il suo gesto con 28 giorni di permanenza nella casetta rossa, ove subiva un trattamento punitivo abbastanza duro.

Per tutti veniva fatto un censimento (talvolta anche due mesi dopo la cattura, periodo durante il quale il soldato era stato dichiarato "disperso") e redatta una scheda clinica, a prescindere dallo stato di salute. Sono tutte conservate in copia presso la Associazione Zonderwater  Block ex POW, dopo che previdentemente si era provveduto a fare una copia di quelle spedite in Italia su una nave che fece naufragio.

Tre archi - Cimitero Abbastanza spesso i prigionieri venivano trasferiti da un blocco all’altro. Questa procedura seguì precisi criteri ideologici dopo l’8 settembre 1943, quando le comprensibili tensioni di animi esacerbati si acuirono a seconda dei diversi orientamenti politici dei soldati. Alcuni scelsero di collaborare con i detentori recandosi a lavorare fuori dal campo, in varie attività, e per loro la vita diventò meno dura; altri restarono fedeli al giuramento e preferirono aspettare nella precarietà del vitto e delle condizioni generali il rimpatrio. Che per 252 di loro non avvenne: essi riposano nel cimitero che, assieme a museo, cappella e un monumento chiamato I Tre Archi (oggi simbolo del campo) costituiscono un lembo di terra italiana in Sud Africa, tutto ciò che è restato dopo che nel 1947, alla partenza dell'ultimo pow, le baracche furono abbattute e il campo fu smantellato.

Tre archi lapideQui, ogni prima domenica di novembre, si riunisce la comunità italiana alla presenza di autorità diplomatiche dei due Paesi per commemorare i circa 109.000 soldati che lì, a diecimila chilometri dall'Italia, sacrificando parte della loro giovinezza,  attesero l'agognato ritorno.

 

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  3. Albero del ricordo: nel terreno antistante il sito che ospita il Cimitero c'è la possibilità di piantare un albero a ricordo di un ex pow il cui nome figura in una bacheca aggiornata annualmente dall'Associazione Zonderwater Block ex P.O.W.
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