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You are here: HomeDocumenti e videoTestimonianzeQuella strana Africa senza sole di Angelo Chemello - Viaggio tra i campi di prigionia italiani dell’East Africa 60 anni dopo

Associazione Zonderwater Block ex Pow

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Paoletti Renato POW - Il Lungo periodo della Prigionia (1942- 1947)

 

17 gennaio 2015

Invio  alcune   memorie  di  mio  padre prigioniero  a  Zonderwater  dal  1942 al 1947  sperando  che qualcuno si riconosca nelle  persone  da  lui  citate. 

Giampaolo Paoletti   

  

PAOLETTI  RENATO  POW a Zonderwater -  Sergente Maggiore Motorizzazione

Nato a Marsciano (PG) il 14/04/1918 – Scomparso il 31/01/2010

Catturato a Bardia il 02/01/1942 – Rimpatriato il 27/01/1947

 

IL LUNGO PERIODO DELLA PRIGIONIA (1942- 1947)

Sono tante le cose che potrei raccontare di questo lungo e travagliato periodo della mia vita quanti soprusi subiti da coloro che si ritenevano la migliore democrazia del mondo i paladini dello stato di diritto.

Ricordo il furto perpetrato con la violenza, del mio orologio che era un caro ricordo, i sette mesi di casetta rossa ( cioè di prigione) al termine del quale subii insieme ad altri un processo che debbo riconoscere equo anche grazie all’interessamento degli italiani residenti in Sudafrica capitanati da una certa signora Spanò che tanto fece e si prodigò per i prigionieri di guerra.

Fu durante quel triste periodo che notai forti contrasti tra i Sprimbok Sudafricani e i dominatori Britannici, durante questo lungo periodo di prigionia ebbi modo di leggere molto e molti autori come Cronin, Tolstoi, Dostoievski, Alfieri, Sem Benetti, Oriani ecc...

La resa e poi la prigionia

Due gennaio del quarantadue

Giorni assai tristi della vita mia

Dopo un’eroica resistenza giù a Bardia

La libertà per anni è ...andata via.

Sessantaquattro giorni durò l’assedio

Con attacchi e contrattacchi all’arma bianca

Mentre dal ciel piovevano le bombe

e valanghe di proiettili dal mare venivano

A fronteggiarci dinnanzi a noi

Uno miscuglio strano e variopinte razze

Senegalesi, inglesi, neozelandesi e indiani

ma per la maggior parte zulu Sud africani

Mentre i spinbok con l’urinale in testa

Vociavano come pazzi ed ubriachi

E come forsennati gridavan “ su le mani”

dai nostri scheletrici polsi rubavan gli orologi

Quel fetido miscuglio dell’albione

Dovemmo fronteggiar per tanti giorni

Battendolo con grinta e con coraggio

e dedizione finchè non vennero meno le munizioni

Stremati dalla fame e un po’ dal male

Senza più cibo ne medicinali,

Vinti noi fummo, ma non domi, neppur

Dalla viltà del tradimento.

Cinque lunghi anni fu il penare

Tra quei reticolati, guardati a vista

da quelle facce nere con l’arma sempre pronta a sparare

Come successe poi in tante occasioni.

Quanti amici cari abbiam laggiù lasciato

Vilmente uccisi senza una ragione

O per i patimenti e malattie, prima fra

Tutti l’Aosta Duca, vero eroico campione.

Egli per noi fu capo e vero padre

Al culto dell’onore ci ha educati

E volle rimanere tra i suoi soldati

Con lui sepolti laggiù a Nairobi

Oh gente d’altri tempi e generazioni

Se questo scritto un giorno leggerete

Pensate a quanti insulti e umiliazioni

Dovemmo noi subir senza ragione

Dal democratico regime inglese.

Fate che il vostro mondo sia migliore

Che non vi siano più contrasti e guerre

Scompaia l’ira e l’odio in ogni cuore

ma regni sempre amore e comprensione

 

5 ANNI DI PRIGIONIA...........

Quanti episodi potrei raccontare di questi lunghissimi anni di prigionia,

mi limiterò a raccontare il fatto più saliente per raccontarlo è necessario fare una premessa e partire da un po’ lontane:

verso i primi del 1943 i detentori costruirono dei refettori coperti di materiali catramati che si avvolgevano a rotoli . All’interno di questi capannoni vi erano alcuni tavoli di marmo al disopra di questi un prigioniero bravo disegnatore a gessetto in bianco e nero, aveva posto due quadri di grandi dimensioni raffiguranti Vittorio Emanuele III allora Re d’Italia e Benito Mussolini.

Subito dopo il 25 luglio qualcuno che allora si definiva Badogliano tolse il quadro raffigurante Mussolini. Questo fatto a qualcuno non piacque, tanto che il giorno successivo si ebbe una grossa sorpresa, qualcuno evidentemente di idee contrarie e che in quel momento soffriva di stitichezza, tagliò con una lametta la tela al punto delle labbra e vi infilò a mò di sigaro un bello ,scusate il termine “stronzo”. La reazione dei Badogliani fu furiosa, capitanati da un ex ufficiale della milizia fascista passato subito dall’altra parte con alla testa i carabinieri che nel loro fregio portavano una grossa VE che voleva significare Vittorio Emanuele ma che nel campo fu ribattezzata come Vergogna Eterna, si misero alla caccia dell’autore del gesto con il motto dai AL FASCISTA.

Questo stato di cose trasformò il nostro campo composto da tutti sottufficiali in un terreno di scontri a volte verbali e a volte si passava alle vie di fatto tanto che la sera del 13 dicembre 1943 alcune persone, non è stato precisato e appurato ne chi fossero e ne quanti fossero, si recarono nella tenda del detto ufficiale pregandolo di lasciare il campo affinché tornasse la tranquillità, questi come poi ha raccontato di persona al processo anziché agire con un certo tatto e magari far notare l’errore di forma e di concetto si mise a minacciare i presenti di denuncia e cose varie al che questi lo assalirono e sempre secondo il suo racconto gli inflissero 17 coltellate ma tutte non mortali vennero inferte sulle braccia e sulle gambe senza colpire parti vitali questo con uno scopo ben preciso cioè non doveva morire ma rimanere segnato per tutta la vita questo è quanto affermato dall’allora capomanipolo tenente Ermanno Boffa. In seguito a tale atto certamente vile vennero presi alcuni prigionieri per essere interrogati, tra questi tre componenti la mia sezione di baracca la cui forza numerica era di 25 unità. L’ elenco con nome e cognome partendo da colui che secondo i carabinieri era il più sospettato in quel tempo capo baracca serg. magg. Locuratolo Antonio. il 2° ser. magg. Tramutola e il 3° serg. Delfino Colautti ragazzo bravo un brillante sportivo specie come calciatore certamente conosciuto da tutto il blocco, per il quale io avrei messo la mano sul fuoco.

In seguito alle loro dichiarazioni fummo interrogati tutti i componenti la detta sezione e quasi tutti incriminati perché affermavamo ( ed era la verità) che essi erano rientrati nel dormitorio non a tarda ora, per questo e lo ripeto e sottolineo solo per questo ci fecero fare sette mesi di casetta rosa ( cioè di prigione) chiamata così perché costruita di mattoni rossicci.

Il processo che si celebrò a Pretoria capitale amministrativa del Sud Africa, si rivelò per chi lo aveva voluto un totale fallimento, gli avvocati difensori, uno svizzero per la C.R. ed uno Svedese essendo la Svezia la nazione che tutelava gli interessi dell’Italia, ma debbo aggiungere per dovere di riconoscenza un doveroso ringraziamento e plauso, verso i civili Italiani che in tanti si dettero da fare per aiutarci e dopo aver fatto una sottoscrizione e raccolto una forte somma in denaro, incaricarono i due migliori avvocati sudafricani per sostenere la nostra difesa.

Io credo che fu proprio questa nomina ad influire sulle decisioni che prese il tribunale nel giro di un’ora, dichiarando che tutti in blocco eravamo discolpati da ogni accusa non avendo trovato a nostro carico il minimo indizio, aggiungendo che fino a quando eravamo nel territorio di quella repubblica nessuna autorità avrebbe per quel fatto potuto perseguirci.

Durante quei sette mesi ( di casetta rosa) di abusi e di violenze inaudite io fui sull’orlo del collasso e se riuscii a sopravvivere fu grazie alla generosità degli amici prigionieri che fecero dei grandi sacrifici per venire in nostro aiuto. Voglio citare qui tra i tanti due carissime persone il Tenente medico Viccari o Viccaro un medico cosciente e generoso e un vero patriota, con i soldi del suo appannaggio della croce rossa mi comperò e poi mi iniettò 20 fiale di calcio, l’altra persona è il compaesano Canavicci Anacleto di Deruta (PG) che girando tra i prigionieri andava raccogliendo quelle poche cose che essi potevano dare, inviandoci poi con la complicità di qualche guardia, scatole di marmellata di latte condensato, di frutta sciroppata, noi della casetta rosa non potevamo ricevere nulla e nonostante che gli italiani ivi residenti mandassero tanti aiuti camioncini di frutta, verdura, zucchero come aiuti per i 44 della casetta rossa, le autorità non permettevano ci venissero consegnati e li facevano regolarmente sotterrare. Tra le tante cose che ho avuto laggiù sono stai molti libri la lettura dei quali oltre ad arricchire la mia modesta cultura mi procuravano distensione. In quei lunghi mesi un’altra persona che ci fu molto vicina fu il cappellano militare credo sia stato un frate che noi chiamavamo don Paolo, fu anche mio confessore anzi potrei dire che le sue parole mi riportarono verso la fede che stavo perdendo. Dopo il 1945 mi giunse la notizia che detto sacerdote si ritirò in un convento del sud africa dove rimase a fare il missionario. Tra l’altro contribuì alla stesura di una poesia scritta in occasione della morte di Benito Mussolini .

 

Un altro episodio di questo lunghissimo periodo

(quanto descritto è stato raccontato dal nonno alla nepote sul suo letto, registrato con il telefonino e poi trascritto)

si riferisce alla fuga dal campo di prigionia di un commilitone un fiorentino

Nel campo di prigionia avevamo la possibilità di svolgere varie attività ,sportive culturali ecc ,

Con un gruppo di amici partecipavamo al gruppo teatrale che metteva in scena varie rappresentazioni teatrali tra le quali ricordo una commedia in tre atti “ La Nemica” di Dario Niccodemi .

Molto spesso io facevo la parte della donna ( grande risata della nepote .. ) naturalmente al campo di prigionia eravamo tutti uomini ed essendo io il più giovane toccava a me fare le parti femminili, ho fatto anche la parte di Essica , la figlia di un Ebreo, ho fatto anche parti maschili ad esempio il capitano della legione straniera.

detto questo voglio, cara nepote raccontarti per dettaglio la fuga dal campo di prigionia del mio amico Antonini.

Erano le 10 di sera orario in cui ci veniva distribuita la posta, l’addetto alla distribuzione chiama: Antonini c‘è posta per te, dopo un o sentiamo lo stesso Antonini piangere a dirotto, nella lettera ricevuta dalla sorella vi erano cattive notizie, la sorella le comunicava che la mamma era gravemente malata ( e visti i tempi delle poste , 6 mesi per ricevere una lettera ) ,e la sua convinzione era che la mamma fosse morta. Noi cercavamo di consolarlo dicendogli che non c’era certezza che la mamma fosse morta, tua sorella ti ha comunicato che è gravemente malata ma nel frattempo potrebbe essersi guarita. Lui era fermo nella convinzione che la mamma fosse morta, imprecava dicendo “ non può morire se prima non ritorno, diceva anche: mia sorella mi scrive questa lettera per invitarmi a tornare a casa e allora io voglio partire subito questa notte tenterò la fuga dal campo , cosa che era quasi impossibile visti i reticolati e la guardia spietata che montavano le sentinelle inglesi. ( i pochi che tentavano di fuggire o venivano ripresi o uccisi.

Io e il mio amico e commilitone (allora camerata ) Natalini un sergente di Assisi , era da molto tempo che stavamo studiando piani di fuga, la fuga era diventata il nostro chiodo fisso. Erano mesi che ci stavamo preparando a partire dall’alimentazione nella fuga cosa e come mangiare?, avevamo cominciato ad essiccare il pane lo grattavamo poi lo mettevamo da parte.

Antonini che era a conoscenza di questi nostri preparativi, sapeva che vi era un gruppo di futuri evasori , persone che da tempo si stavano meticolosamente organizzando per tentare la fuga ( gruppo del quale lui non faceva parte) volevamo andare via a tutti i costi ( a costo di morire io volevo andarmene via, non so perché poi in concreto dopo tanti preparativi non ho tentato la fuga sicuramente qualcuno mi ha protetto mi ha dissuaso dal tentare la fuga e questo qualcuno è il S.S. Crocifisso al quale mi sono sempre rivolto durante i lunghissimi 5 anni di prigionia.

tentativi di fuga in verità ne ho provati varie volte ma all’ultimo momento la fifa mi ha sempre bloccato ….., le sentinelle sparavano addosso con proiettili veri eh… cara nepotina.. e io come diceva un napoletano tu Renato tieni a fifa eh.

Il mio amico Natalini che era un coraggioso ( aveva un coraggio incredibile) sprezzante del pericolo, una sera viene da me e mi dice: Renà ho studiato una cosa ( tra l’altro era un amico del mio compaesano Florido,  matto come una staccia, insieme avevano fatto la guerra d’Abissinia nelle camice nere) ho trovato il sistema de scappa e come cacchio fai risposi io– .

Il campo era di dimensioni 800 x 400 mt e noi la sera giravamo per il campo– 1500 mt circa tutto il campo– il nostro campo faceva parte di un blocco ( il b locco era composto da 6 campi). Incuriosito chiesi a Natalini di spiegarmi come intendeva fuggire. Come detto, tutte le sere facevamo il giro del campo fino alla mezzanotte per vedere se vi erano delle zone di ombra, zone dove le guardie non potevano vedere, quella sera l’amico Natalini mi disse: Renà l’ho trovata stà zona d’ombra, cioè , tu non sai che cosa accadeva in quel campo ( riferito alla nipote ), sopra al nostro campo vi era una collina dove erano posizionati altri campi di prigionieri ( come detto 15 mila prigionieri) da questi campi scendeva un rocchio di acqua, gli scarichi, di acqua e liquami , vedendo questo il Natalini disse questa notte provo a fare questa operazione , aveva trovato un punto del campo abbastanza nascosto, è andato sul posto lontano dal campo come circa 200 metri e scavando con le mani un piccolo solco e otturando il tubo degli scarichi con un grande masso deviando così il corso degli scarichi quest’acqua ha creato così pian piano un canale sempre più profondo che passava sotto il reticolato.

Il Natalini insisteva nel voler fuggire voglio tornare a casa insisteva, noi ci siamo messi a ridere, non hai nulla da mangiare, non sei scappato mai ,non sai parlare una parola d’inglese, nonostante questo lui comincia a piangere forte insistendo nel dire voglio scappare, allora Natalini che era di animo molto buono disse be ti aiuto io, organizziamoci, allora guarda che a circa un chilometro da qui passa un treno che proviene dalle miniere di carbone, in questo punto il treno rallenta quasi si ferma perché il macchinista scende per fare lo scambio di binario manuale, questo è il momento in cui puoi salire in un vagone

Rivolto poi a me disse: vieni anche tu aiutami “era diventato matto voleva ad ogni costo fuggire” a cominciato a baciarmi e a dire Renà aiutami aiutami.

Allora anch’ io mi sono reso disponibile dicendogli: senti Antonini io fino al reticolato ti accompagno ma sotto non ci passo perché le sentinelle che stanno in alto sparano al minimo movimento, invece Natalini è andato ad accompagnarlo, naturalmente gli abbiamo dato anche un po’ di roba da magiare, il pane lo zucchero e tutto quel che avevamo.

Giunti al reticolato Natalini organizzò il passaggio sotto il reticolato, dicendo: tu Antonini attaccati ai miei piedi, tu Renato spingilo da dietro, (l’acqua a suo tempo deviata aveva creato un grande fossato sotto il reticolato), allora io dissi va bene io spingo ma non vengo fuori, ho anche detto al Antonini la Madonna ti accompagni ( dopo quattro anni l’ho rivisto). Una volta oltrepassato il reticolato, io sono tornato all’accampamento mentre Natalini ( tutto coraggio è andato ad accompagnarlo fino al treno ) lo ha accompagnato al treno e lo ha aiutato a salire nel momento in cui il treno era fermo per lo scambio di binario

Antonini è salito sul vagone infilandosi sotto uno strato di carbone, Natalini gli aveva anche trovato una canna per respirare, lui è stato sotterrato sotto il carbone per 5 giorni non ha mangiato ne bevuto ne fatto alcune funzioni fisiologiche , ( una volta accompagnato al vagone Natalini è rientrato al campo).

alla domanda della nipote sul perché anche Natalini visto che era uscito dal campo, non fosse partito, il nonno così risponde: non è fuggito cara nipote per due motivi , primo perchè non aveva nessuno a casa ad attenderlo, secondo perché riteneva come del resto anch’io che era impossibile la riuscita della fuga in quanto vi era un controllo spietato sui treni non tanto per scovare i prigionieri quanto per scovare i trafficanti di oro e diamanti, alla stazione i vagoni venivano investiti di un getto di acqua bollente che bruciava tutto, la sua fortuna ( di Antonini ) è stata che essendosi messo in un angolo del vagone non è stato raggiunto da questo getto di acqua bollente e si è così salvato.

Sfinito per la fame si è addormentato e ha dormito non sa per quanto tempo al risveglio il treno era fermo ed ha sentito persone che parlavano ma il loro linguaggio non gli era congeniale in quanto parlavano in portoghese essendo lui arrivato in una colonia del Portogallo senti che dicevano tomorro cioè che il giorno seguente avrebbero scaricato il carbone sulla stiva della nave

A questo punto è uscito dal vagone una volta uscito il pericolo maggiore era di incontrare persone che lo potevano riconsegnare agli inglesi i quali davano loro una ricompensa, lui nella sua fortuna ha incontrato una brava persona che lo ha accompagnato alla stazione di polizia dove ha loro illustrato la sua posizione dicendo però non che era un prigioniero fuggiasco ma un ingegnere italiano in cerca di lavoro fuggito dall’Italia occupata dai Tedeschi, e che cercava lavoro anche come mozzo di nave. Un poliziotto molto umano lo ha aiutato a trovare lavoro nella nave come uomo di fatica e così si è imbarcato ed è giunto a Lisbona da li attraverso il consolato italiano dopo alcuni mesi è rientrato in Italia.

Di questo amico fiorentino non avemmo più nessuna notizia e si era certi dell’esito fatale della fuga.

Trascorsi alcuni anni ( quattro per l’esattezza) mi trovavo a Firenze in viaggio di nozze, stavamo prendendo un caffè in un bar del centro, rigirandomi verso la piazza vedo passare un tizio in bicicletta, la mia meraviglia fu grande nel riconoscere il commilitone che avevo aiutato ad evadere. Ora volevo chiamarlo ma non ricordavo il suo nome e il cognome, un vuoto di memoria fatale …. Mi sono però ricordato che recitavamo insieme nelle commedie allestite al campo di prigionia e in una di queste ( acqua cheta, mi sembra ) lui faceva il personaggio di Cesca, mi precipito fuori e a gran voce grido Cesca Cesca!!, ad una grande frenata della bici fa seguito la frase in perfetto toscano O CHI GLI E’ CHE MI CHIAMA CON CODESTO NOME???

Dopo alcuni anni grazie a questo particolare della commedia ho rincontrato un amico di prigionia che credevo non fosse riuscito nel suo intento.. Mi ha raccontato le peripezie della sua drammatica fuga i mesi che ha girovagato per i vari stati dell’africa prima di far ritorno a Firenze.

 

 

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